08/02/15
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Batteri del permafrost: 
un fattore chiave per i gas serra
Carotaggi in Alaska

Il Dipartimento dell'energia degli Stati Uniti ha effettuato una serie di carotaggi in Alaska per fare un censimento dei batteri presenti nel suolo permanentemente congelato, ottenendo poi migliaia di sequenze grezze di DNA e preziose informazioni sul metano che verrebbe liberato se la temperatura della zona aumentasse ancora.

Dal Polo Nord all'Oceano Artico, i suoli ghiacciati del permafrost immagazzinano una quantità di carbonio sequestrato all'atmosfera stimato in quasi 1700 miliardi di tonnellate. Con l'incremento delle temperature cresce anche la probabilità che con la fusione del permafrost venga liberato in atmosfera questo carbonio rimasto intrappolato per centinaia di migliaia di anni. E come spesso avviene nei processi ambientali cruciali, un ruolo importante è rivestito dai microbi, ma quali e in che misura?

Per rispondere alla domanda, i ricercatori della sezione di scienze della Terra del Joint Genome Institute (JGI) del Dipartimento dell'energia degli Stati Uniti (DOE), in collaborazione con il Berkeley Lab e la U.S. Geological Survey, hanno analizzato in che modo i batteri che vivono nel permafrost rispondano al riscaldamento del loro ambiente.

“Si ritiene che il permafrost possa diventare una delle maggiori fonti di gas serra, dal momento che ci si attende che la temperatura nell'Artico cresca drasticamente e in misura maggiore che in altre regioni del globo”, ha spiegato Janet Jansson, che ha partecipato alla ricerca e firma il resoconto apparso sulla rivista “Nature”. “Applicando tecniche di metagneomica per studiare la composizione e la funzione delle comunità microbiche, è possibile ottenere nuove e prezione informazioni sulle specie ancora non coltivate e poco conosciute che vivono nel permafrost e quindi anche sul rilascio del carbonio durante il disgelo”.

Nel corso della ricerca è stata effettuata una serie di carotaggi nel sito di Hess Creek, in Alaska. In ciascun campione è stato poi individuato uno strato “attivo” - cioè sottoposto a congelamenti e fusioni stagionali – che comprende il primo terzo più superficiale e lo strato permanentemente congelato sottostante. I campioni sono poi stati decongelati alla temperatura di 5°C e si è quindi proceduto a sequenziare il DNA dei batteri presenti. “Le comunità batteriche del permafrost sono estremamente variabili”, ha commentato Rachel Mackelprang, che ha partecipato alla ricerca. “Un grammo di suolo può contenere migliaia di differenti specie batteriche con miliardi di cellule. Oltre a ciò, questi microbi non possono essere coltivati in laboratorio, il che rende gli studi molto difficoltosi”.

Grazie alla ricerca, sono state generate quasi 40 miliardi di basi di sequenze grezze di DNA. Grazie a queste sono stati individuati diversi microbi che producono metano come prodotto di scarto. Infine i ricercatori sono riusciti ad assemblare una “bozza” di genoma di un nuovo metanogeno. “Si tratta in questo caso del primo assemblaggio riuscito della bozza di un genoma a partire da un meta-genoma altamente complesso”, concludono gli autori dello studio. “L'abbondanza di questo nuovo metanogeno porta a ipotizzare che si tratti di una fonte importante di metano in condizioni di congelamento; inoltre i dati genomici hanno rivelato che lo stesso batterio possiede geni per la fissazione dell'azoto, ed è la prima volta che viene descritto un metanogeno con questa capacità nel permafrost”.

tratto da http://www.lescienze.it
 





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